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DIREZIONE GENERALE ARCHEOLOGIA BELLE ARTI E PAESAGGIO Ministero della Cultura

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LAVERIA LAMARMORA, MINIERA DI NEBIDA

LAVERIA LAMARMORA, MINIERA DI NEBIDA

Indirizzo: NEBIDA, IGLESIAS

Comune: Iglesias

Provincia: Sud Sardegna

Regione: Sardegna
Complessi archeologici / Miniera

Durante l’ultimo decennio del XIX secolo nella miniera di Nebida gli impianti destinati all’arricchimento dei minerali di piombo e zinco erano due: la laveria Chessa, funzionante dal 1887 e quella Fortuna, operativa dal 1895. Le coltivazioni dei filoni mineralizzati iniziarono ben trent’anni prima ma la produzione, in questo particolare periodo, aumentava continuamente, costringendo la società concessionaria a progettare nuove strutture di servizio e per le lavorazioni; una di queste fu la “laveria idrogravimetrica Lamarmora”.

La Laveria Lamarmora fu costruita per sostituire la superiore laveria Chessa già in esercizio fin dal 1887, che si serviva delle acque del mare quando quelle dei serbatoi erano esaurite e che inviava al mare i fanghi e le poche acque di rifiuto; pertanto, la Lamarmora venne considerata come una continuazione dell’opera del vecchio impianto. Oltre ai materiali del livello omonimo, la laveria fu attrezzata per trattare anche gli antichi rifiuti dell’altra laveria, i quali non avrebbero dato materiali molto fangosi perché già lavati.

Gli scavi necessari alla sua costruzione iniziarono nel 1896 nella zona limitrofa alla località Gruttixedda dove erano già presenti, da pochi anni, il porto, il piano inclinato ed il magazzino per lo stoccaggio del minerale. La costruzione dei muri perimetrali fu ultimata entro il mese di marzo del 1897 e venne a costare alla società concessionaria dalle 300.000 alle 350.000 lire. Ubicata poco al disopra del mare su una roccia che scende a picco sul mare, il suo piano superiore è alcuni metri sotto quello della galleria di ribasso omonima.

Le attese di grandi produzioni per la nuova struttura, da parte della direzione della miniera, dovettero scontrarsi duramente con le opposizioni al suo esercizio presentate già nel corso della costruzione dai proprietari delle tonnare limitrofe. Per dirimere la controversia vennero interpellati anche gli alti dirigenti nazionali del Governo ai quali scrive l’ing. Anselmo comunicando, in data 25 maggio 1897, che “la costruzione muraria della laveria è completata ed i macchinari sono quasi completamente piazzati”; rimanendo in attesa d’istruzioni.

Il direttore della miniera di Nebida, probabilmente anticipando le proteste dei proprietari delle tonnare, preferì prima costruire l’impianto e poi, paventando in caso contrario il licenziamento di migliaia di operai, richiedere le necessarie autorizzazioni per il suo esercizio. Infatti dai Verbali della Giunta della città di Iglesias si evince come la stessa Giunta si sorprenda dell’atteggiamento del direttore ma non si opponga all’utilizzo della laveria Lamarmora, già entrata in funzione dall’agosto del 1897.

Nella domanda per l’autorizzazione (1897) si faceva presente che la vecchia laveria Chessa, non corrispondendo più ai progressi fatti dalla Società, era stata sostituita da una nuova, poco al disotto, che utilizzava dell’acqua marina sollevata a tale scopo per mezzo di una pompa a vapore già esistente in riva al mare, quando i serbatoi di acqua piovana stabiliti superiormente erano vuoti. Il Ministero della Marina si oppose al rilascio dell’autorizzazione per il funzionamento della Lamarmora, giudicando i proprietari delle tonnare adiacenti come aventi il massimo diritto d’immunità dai danni derivanti dalle laverie. Di contro, invitava la società concessionaria a presentare un’altra domanda, ricordando come il decreto di autorizzazione fosse subordinato al conseguimento della concessione marittima per l’estrazione ed il riversamento in mare dell’acqua di lavaggio dei minerali.

In seguito alla presa di posizione del Ministero della Marina, il direttore della società di Nebida fece sapere di essersi uniformato alla decisione e di aver inoltrato la domanda per la concessione marittima necessaria per l’uso delle acque del mare e lo scarico di quelle di rifiuto della laveria meccanica. Lo stesso si riservò di rinnovare la domanda per ottenere la permissione per l’impianto della laveria, una volta ottenuto il suddetto permesso per l’uso delle acque del mare.

Con la presentazione della nuova richiesta di autorizzazione l’ing. Anselmo si riservò di conoscere preventivamente il pensiero dei Ministeri delle Finanze, dei lavori Pubblici e della Marina. Nella nuova richiesta di concessione, si riportata il Piano Generale delle Località Lamarmora e Chessa unito alla domanda d’autorizzazione dell’impianto della Laveria Lamarmora. Le due località citate nell’intestazione sono relative all’area della laveria e del piazzale Chessa ed a quella nella quale erano stati appena ultimati i lavori di costruzione del nuovo impianto di trattamento. Dai disegni si può notare come ai piedi dello sbarramento del bacino Chessa ci fossero forni a tino ed alcuni locali accessori come la falegnameria, l’officina meccanica ed un serbatoio che serviva per alimentare la laveria Chessa poco distante. Il serbatoio in esame fungeva da tramite, mediante tubazioni tra il grande bacino (alimentato con acqua di mare prelevata mediante l’utilizzo di pompe in località Porto Raffa) e la laveria stessa. Dall’altra parte del colle del Mulino a vento si trova il piano inclinato che conduce alla laveria Lamarmora ed al porto, al quale si accede mediante una discenderia. Al disotto del piccolo serbatoio avente la stessa funzione di quello descritto in precedenza, si trova il piazzale di cernita con i due silos per l’accumulo del materiale, mentre a quota leggermente inferiore è posto il primo livello della laveria (quello che attraverso i suoi archi consentiva al minerale di entrarvi per essere trattato).

Una tubazione partiva dal serbatoio e alimentava le quattro serie di trommel e crivelli meccanici che costituivano le due sezioni: una per le terre e l’altra per le rocce; lo scarico dei fanghi avveniva in mare.

Al fianco della laveria si notano due forni a tino accoppiati che avevano la funzione di “calcinare” la calamina, cioè cuocerla per ridurne il peso mediante l’eliminazione di composti ad essa legati.

Le vie di accesso al porto ed alla laveria Lamarmora, segnate nella carta, attualmente non esistono più, perché sono state sostituite da un sentiero avente tracciato diverso e da una scalinata costruita solo nel 1990.

La laveria Lamarmora si presenta di forma quadrangolare regolare, suddivisa in cinque locali disposti a quote diverse, aventi gli ingressi sui due lati e le finestre ad arco lungo il fronte prospiciente il mare.

Il muro portante longitudinale, a quota maggiore, presenta aperture ad arco disposte a distanza regolare lungo tutta la sua lunghezza; il muro che separava questo livello dal locale della macchina a vapore, a quota più bassa, ne aveva invece altri uguali alle precedenti. Dai disegni originali si evince come tra il primo livello ed il secondo, ospitante la sezione di ripasso, non ci fosse alcun muro oppure questo avesse un’altezza inferiore a quella di un uomo. L’ultimo livello, prospiciente la scarpata ed il mare, era suddiviso in due locali: il primo ospitante la caldaia e separato dal superiore mediante un muro con tre aperture, il secondo con i forni Oxland ed un altro muro con quattro finestre a dividerlo dalla superiore sezione di ripasso. Sono presenti anche due tunnel sotterranei che servivano per il trasporto in discarica dello sterile, mentre tutti gli accessi fino al livello più basso erano garantiti da una lunga scalinata sul lato nord dell’edificio.

All’interno dei due locali più grandi sono presenti pilastri in legno con la funzione di sorreggere il tetto ed i trommel disposti in cascata; i pavimenti del primo livello accolgono le vaschette per la raccolta del ricco proveniente dai crivelli.

Nelle tavole legate alla domanda di autorizzazione sono raffigurati tutti i macchinari, che consentono di individuare la funzione specifica di ogni locale e precisamente: l’arricchimento, il ripasso, la macchina a vapore, la caldaia ed i forni Oxland per la calcinazione.

Il 31 gennaio 1904 il Ministero della Marina inviò un telegramma al Capitano di Porto Sattanino, autorizzando l’impianto della laveria Lamarmora; lo stesso giorno la comunicazione arrivò per suo tramite alla società concessionaria. Dopo un’attesa durata poco più di sei anni, si risolse il problema dei permessi necessari per il funzionamento dell’impianto di trattamento tra i più moderni dell’epoca nell’Iglesiente, ma la sua attività alternò periodi di produzione ad altri di fermo completo o parziale.

Proprietà: Pubblica
Regime tutela: Tutela Ope Legis
Stato di conservazione: Rudere
Ambito cronologico secolo: da XIX sec a XX sec.
Immagine relativa a LAVERIA LAMARMORA, MINIERA DI NEBIDA
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