Il complesso abbaziale di Sant’Agata, citato nelle fonti dal XIII secolo, è probabile che abbia una fondazione risalente. Si collocava in una posizione favorevole al margine nord-est del territorio serrano, nei pressi della foce ovest del fiume Fortore, navigabile da piccole imbarcazioni, e collegato con lo scalo di Civita a Mare verso il Monastero di Santa Maria di Tremiti da cui dipendeva. Si tratta di un articolato esempio di abbazia fortificata con una spiccata vocazione produttiva, che dominava l’intero territorio circostante. Nel XVI Sec. Sant’Agata gestisce un appezzamento di 9×3 miglia, in gran parte coltivato a frumento e a vigna; il resto era pascolo o boschivo. Secondo gli studi locali viene saccheggiata nel 1567 dai turchi e poi distrutta dal terremoto del 1627. L’abbazia di Sant’Agata venne poi acquistata da alcuni mercanti napoletani che la cedettero, nel 1811, insieme col latifondo di pertinenza, al marchese de Luca di Foggia. Gradatamente smembrata la proprietà terriera, l’abbazia continuò tuttavia a farsi centro di richiamo di fede per le numerose famiglie di contadini che risiedevano nel “casale”. L’abbandono progressivo iniziò negli anni ’50 del secolo scorso; oggi è ridotta allo stato di rudere. Il complesso comprende da un lato la chiesa e le celle dei padri che si affacciano su un chiostro quadrangolare e dall’altra il casale abitato dai coloni e occupato in parte dai magazzini per le merci e dalle abitazioni dei coloni che gestivano i terreni e le vigne di proprietà dell’abbazia. Il piano inferiore era adibito verosimile a refettorio, cucine, magazzino, sempre ad uso dei monaci, è caratterizzato da vani con volte a crociera. Il chiostro è separato dall’ altro cortile tramite una porta, che separava la parte prettamente religiosa. Allo stato attuale è un rudere, quasi totalmente crollato; tra le strutture abbandonate si conservano un’ala con una bella loggia cinquecentesca e la chiesa con stucchi tardo-barocchi.