Complesso architettonico ubicato nella periferia occidentale di Milano, in un ambito – fino al 1896 compreso nel Comune di Sellanuova – esposto al rischio di ritrovamenti archeologici. Inutilizzata da più di un decennio e versante in precarie condizioni di conservazione, soprattutto per quanto attiene gli annessi ad uso agricolo, la cascina ha mantenuto la leggibilità dell’impianto a corte, assunto a partire dalla seconda metà del XIX secolo, e preservato la dimora padronale, costituita dall’edificio residenziale principale e dallo stabile porticato ad esso adiacente. L’esistenza di un possedimento in Sala nova è documentata in alcuni atti del XV secolo che la riconducono a Gian Galeazzo Visconti, entratone in possesso grazie all’incameramento dei beni dei Torriani; la proprietà passa poi ai Ghilo e quindi, nel XVIII secolo, ai conti Archinto che la utilizzano come residenza estiva. Nell’Ottocento la cascina passa alla famiglia Bagatti Valsecchi ; alla loro iniziativa va presumibilmente ascritto il notevole ampliamento del complesso rurale, che avrebbe così potuto rispondere meglio alle mutate esigenze produttive ed economiche del tempo: furono pertanto costruite la grande stalla per i bovini e le barchesse che chiudono la corte a sud, nonché le case per i salariati a est, e si procedette alla demolizione dell’ala orientale della residenza padronale, di cui ancora oggi sopravvive il primo tratto porticato a cinque luci. Numerosi autori riportano la notizia della rimozione di un importante camino rinascimentale dal piano terreno della casa padronale e della sua ricollocazione nel palazzo milanese, operata dai Bagatti Valsecchi all’epoca della realizzazione della dimora di via Santo Spirito. Si tratta con ogni evidenza di quello ammirabile nell’ambiente della Sala da Pranzo, al piano terra della casa-museo, oggetto di interesse critico sin dal principio del XX secolo. Quanto al complesso rurale, nel primo Novecento non risulta abbia subito modifiche sostanziali dell’impianto, con l’eccezione della realizzazione della porcilaia a nord, rilevata in cartografia dagli anni Trenta. Dal 1950 il bene conosce complesse vicende proprietarie, perdendo man mano le funzioni agricole, anche a causa della notevole espansione edilizia operata negli immediati dintorni; nel 1980 la cascina viene espropriata dal Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Popolare ma non è riconvertita a tale uso. Nel 1982 è acquisita dal Comune di Milano che negli anni immediatamente seguenti provvede all’abbattimento delle case dei salariati. Attualmente il complesso di Cascina Sella Nuova è dunque definito da diversi fabbricati disposti a formare una corte chiusa: a nord lo stabile adibito a porcilaia, dal caratteristico tetto a doppia falda, a ovest la residenza padronale e il corpo accessorio porticato, a sud la stalla e gli annessi, la cui ala ovest costituisce l’unico edificio adibito ad abitazione dei salariati ancora esistente; il bene è completato da aree libere pertinenziali, parte delle quali corrispondono al sedime del giardino tardo-rinascimentale . Gli stabili ad uso agricolo, verosimilmente tutti realizzati nell’arco di un cinquantennio, mostrano sistemi strutturali e caratteristiche architettoniche sostanzialmente analoghe, riconducibili a tipologie di edilizia rurale diffuse nell’ambito di riferimento. Elevati su impianti longitudinali per altezze variabili da uno a tre piani fuori-terra, presentano murature portanti in laterizi, solai ad orditura lignea, puntualmente sostituiti o rinforzati con travi metalliche o in cemento armato, tetti a due spioventi in legno, manto in coppi. Nel prospetto verso corte, la stalla e i suoi annessi sono caratterizzati da un profondo porticato su pilastri in mattoni e da un grande arco centrale che consentiva il passaggio verso i campi che si estendevano a sud della proprietà; la casa dei salariati esibisce prospetti estremamente semplici, con serie di aperture disposte irregolarmente. Le finiture risentono della prolungata dismissione funzionale, cui è da imputarsi anche l’avanzato stato di ruderizzazione di numerose campate delle tettoie meridionali. La dimora padronale, pur nelle profonde manomissioni strutturali e planimetriche subite a partire dalla metà del XIX secolo, conserva numerosi elementi di antico impianto, verosimilmente databili al XVI secolo, tra i quali spiccano le quattro colonne d’ordine tuscanico del portico meridionale, reggenti architravi lignee, e i soffitti a cassettoni esistenti al piano terra del corpo principale. L’edificio nel suo complesso si presenta con una pianta a “L” definita da due distinti elementi: il palazzo e il corpo porticato in aderenza al lato orientale dello stesso. Elevati entrambi su due piani fuori terra, ma con livelli altimetrici differenti, sono realizzati con murature portanti, solai lignei localmente rinforzati con putrelle metalliche, tetti con orditure lignee e profilo a padiglione o a due falde, manti in coppi. In prospetto è ancora leggibile l’originaria composizione simmetrica delle aperture, poi alterata dalle trasformazioni funzionali occorse nel tempo. All’interno del corpo principale si conservano una scala con gradini in pietra e semplice parapetto metallico, verosimilmente tardo ottocentesca, e alcuni camini.
(fonte: relazione storico critica presente nel decreto di interesse cultuale)