La chiesa e il convento di Santa Maria della Vita costituiscono un complesso monumentale seicentesco situato nel cuore del quartiere napoletano Stella. Esso si sviluppa intorno a un chiostro sul quale prospetta la chiesa con pianta a croce latina e navata unica, interrotta dal transetto nella campata coperta con una cupola.
L’origine del nome deriva forse da una cappella dedicata a San Vito dalla quale si accedeva ad una catacomba. Nel 1577 il frate carmelitano Andrea Vaccaro fondò il convento e dopo qualche anno ampliò la cappella preesistente, modificandone la dedicazione in Santa Maria del Carmine e San Vito. Nel corso del XVII secolo il complesso crebbe coi molti lasciti che ne ampliarono le proprietà, tra i quali i possedimenti Ramirez sulle colline a cui era addossata la chiesa. Questa concessione permise ai frati di sbancare il terreno e riprogettare la chiesa con l’aggiunta del transetto e dell’abside e la modifica delle originarie cappelle. Anche nel Settecento vennero eseguiti lavori di restauro e ammodernamento sia del convento che della chiesa, che coinvolsero l’architetto Nauclerio. Durante il governo francese il complesso fu ceduto a Jean Poulard Prad che lo rifunzionalizzò ad uso di fabbrica di porcellana, trasformandone significativamente degli spazi interni. La funzione industriale permase con il seguirsi di una nuova produzione di candele e di cera, per poi essere sostituita dall’uso assistenziale nel secondo quarto dell’Ottocento. Nel 1834 il governo rilevò, infatti, il convento per farne un ospedale. Santa Maria della Vita fu trasferita, solo due anni dopo l’acquisizione statale, all’Ospizio dell’Albergo dei Poveri allo scopo di ottenere spazi per ricoverare i malati di colera. Successivamente il complesso fu affidato alle Suore della Carità e adibito a casa di istruzione per fanciulle per poi passare in gestione all’ospedale San Camillo. L’attività ospedaliera si protrasse fino agli anni ’90 del Novecento quando il sito fu adibito a centro di recupero per tossicodipendenti.
Oggi il complesso è usato in parte come centro di ospitalità per senza fissa dimora e in parte come “laboratorio di educativa territoriale”. Tuttavia, l’intero secondo piano del convento e i relativi ammezzati sono abbandonati e degradati. La chiesa, spogliata di molti arredi fissi, è in totale stato di incuria, utilizzata come deposito. Si rileva un cattivo stato di conservazione degli intonaci, della pavimentazione maiolicata, e delle murature, con puntuali fenomeni di dissesto statico.