L’edificio disegna una delle quinte di Piazza della Dogana che rappresentava uno dei luoghi più importanti per la vita della città e su cui convergono la Torre dell’Orologio e l’obelisco a Carlo II d’Asburgo. Per secoli infatti questo spazio è stato il cuore pulsante delle attività commerciali grazie alla posizione strategica, un nodo di tutte le vie di comunicazione sulla strada da cui passava il grano proveniente dalla Puglia verso Napoli.
A seguito della peste del 1656 che ha causato la decadenza della piazza pubblica, l’edificio ha versato in uno stato di abbandono. Più tardi Francesco Marino Caracciolo, quarto principe di Avellino, ne volle il restauro e riscattò l’intero spazio trasformandolo in un progetto urbanistico di grande respiro.
L’impegno principale è stato profuso per il rifacimento del palazzo della Dogana. In questo modo, da spoglio edificio dalla funzione meramente fiscale, il palazzo ha acquisito nuova veste fino a diventare un’opera d’arte. Suddivisa in due piani, la nuova facciata monumentale si è arricchita nel piano inferiore dei suoi caratteristici cinque archi e di due statue (Diana ed un Efebo); in quello superiore di quattro busti (Augusto, Adriano, Pericle, Antonino) e altre due statue raffiguranti Venere e Marino II Caracciolo. Negli spigoli più bassi vi sono infine due leoni accovacciati che sorreggono con le zampe anteriori ciascuno uno stemma».
Ristrutturata nel 1929 per ospitare il “Cinema Umberto”, la dogana ha conosciuto una nuova decadenza in seguito all’incendio del 17 novembre 1992 che ha lasciato in piedi solo la facciata. Oggi l’edificio rientra in un progetto di restauro ampio ed inserito all’interno di un’intensa attività culturale che mira a rafforzare identità e coscienza urbana.