L’eremo noto come “Mandre,” o, secondo la tradizione orale dei monaci di Pulsano, “Porcile,” è situato nella valle Campanile, immediatamente a sud dell’eremo Pietre, al quale è collegato tramite un sentiero che corre lungo il costone roccioso della valle. L’eremo sfrutta una piccola cavità naturale, protetta da una doppia recinzione in muratura: la prima, posta a ridosso dell’antro sotto la roccia, è realizzata in muratura a secco; la seconda, situata poco distante, cinge l’intero complesso ed è costruita con pietre spaccate e allettate con abbondante malta. Nella porzione settentrionale di questo muro di recinzione si apre un portale monumentale, addossato alla parete rocciosa, oggi parzialmente crollato.
All’esterno dell’accesso si trova una vasca rettangolare, scavata nel piano di calpestio e collegata a un sistema di raccolta delle acque. Da questa vasca parte una canaletta che, attraversando il varco, collega una serie di vasche comunicanti, scavate su gradoni a quote progressivamente più basse all’interno del recinto. Giunta all’ultima vaschetta, la canaletta diviene coperta e confluisce in una cisterna situata nel settore meridionale del complesso rupestre.
È difficile datare con precisione le strutture dell’eremo, ma il suo uso è chiaramente identificabile: il complesso fungeva da “mandra”, ovvero un recinto murato per il ricovero delle greggi, come testimoniano le opere per l’abbeveraggio e le recinzioni. Le strutture dell’eremo, insieme a quelle di altri complessi come Cantina, San Plemone e Santi Basilio e Spiridione sul pianoro di Coppa la Pinta, nonché i sistemi di San Trifone e Sant’Antonio e dei cosiddetti eremi di Pietre e Mandre, appaiono funzionalmente distinte dallo stanziamento rupestre connesso alla nascita dell’Ordine Monastico degli Eremiti Pulsanesi, datato agli inizi del XII secolo e gravitante attorno all’Abbazia di Santa Maria di Pulsano.
Queste strutture potrebbero essere semplici “mandre”, ossia recinti per bestiame, utilizzati dai pastori locali fino a tempi relativamente recenti per lo sfruttamento pastorale del territorio garganico.