La Mostra d’Oltremare, inaugurata nel maggio del 1940, era costituita da tre settori espositivi, storico, geografico e la sezione dedicata alla produzione e al lavoro, una zona archeologica e due parchi. Nel Settore Geografico spiccava il Padiglione Libia, uno dei più estesi della Triennale, realizzato allo scopo di celebrare le opere del fascismo nella colonia nordafricana. Vero e proprio “parco nel parco” con tanto di perimetro divisorio che ne delimitava l’area dal resto della Mostra, il padiglione si presentava come un autentico microcosmo libico nel cuore della Triennale.
Progettato nel 1939 dall’architetto Florestano Di Fausto – artefice dei principali villaggi coloniali italiani in Libia – il padiglione si presentava come una deliziosa opera di architettura araba nel cuore della Triennale. Il nucleo del progetto era una moschea bianca impreziosita da un alto minareto visibile in tutta la Mostra. L’atmosfera libica del padiglione era garantita dalla presenza di un tipico marabutto arabo e da una piccola porzione di deserto sahariano (prelevato dalla colonia) all’interno del quale stanziava un accampamento di beduini – uno dei tanti “villaggi indigeni” del polo fieristico – costituito da apposite tende. Il padiglione, inoltre, ospitava diverse botteghe di artigiani libici, dai produttori di caffè, orafi ai tessitori, fino ai musicisti e alle danzatrici del ventre. Infine, vi si piantarono 1.500 palme di datteri, provenienti dalle coste tripolitane.
Durante la Seconda guerra mondiale, gli americani occuparono la Mostra d’Oltremare e vi allestirono il 21st General Hospital. Con la rifunzionalizzazione del polo fieristico, nel Padiglione Libia si insediò il pronto soccorso dell’ospedale.
Nel 1952 la fiera riaprì in forma di Mostra Triennale del Lavoro Italiano nel Mondo. Nella nuova destinazione espositiva il Padiglione Libia venne ristrutturato secondo la visione razionalista di Carlo Cocchia e Matteo Corbi e convertito nel Padiglione Italiano nell’America del Nord. Ma la nuova esposizione non ebbe il successo di sperato e chiuse poco dopo.
Oggi del Padiglione Libia, in disuso, restano i locali del corpo centrale, adibiti a deposito, e gli ambienti del lato nord ridotti allo stato di rudere. Con l’abbandono sono andate perdute le strutture rappresentative del complesso architettonico, quali la moschea, il minareto e il marabutto.